L'amazzone italiana Ita Emanuela Marzotto, lo scorso fine settimana si è resa protagonista di una brillante performance in quella da tutti considerata la gara che più incarna il vero endurance, la Tevis Cup.
Nell'apprendere del 33mo posto di Ita, il pensiero mi è andato spontaneamente alla vecchia serie televisiva western americana andata in onda in Italia alla fine degli anni 70, “Alla conquista del West” e di lì il titolo dell’articolo dedicato alla nostra amazzone Ita.
Ebbene, dopo essere tornata da questa sua esperienza alla Tevis Cup, l'abbiamo incrociata e fatto alcune domande che riassumiamo nel suo racconto.
"Ovviamente sono molto soddisfatta della mia performance in quanto arrivare 33ma su 140 partenti, di cui 55 eliminati, non era scontato.
E' stata la mia prima 100 miglia, idem per il cavallo che montavo, la prima volta che correvo di notte e la prima che attraversavo un fiume completamente al buio.
Ho corso con la paura di incontrare nel mio tragitto la famigerata vespa velenosa, considerata molto pericolosa al punto di dover prendere una pastiglia laddove venissi punta, un antistaminico molto forte.
Heather Reynolds che non ha bisogno di presentazioni nel mondo dell'endurance, alla partenza mi ha messo in tasca questa pasticca che ho custodito con estrema cura. A me fortunatamente non è servita ma alla mia compagna di avventura, si.
E' stata punta e le grida hanno risuonato per tutta la valle. Per fortuna la pasticca magica dopo 20 minuti di delirio, ha fatto effetto e tutto si è risolto.
Sicuramente uno dei momenti più emozionanti ed eccitanti è stato il famoso passaggio tra le rocce vulcaniche di Cougar Rock. Davanti a me c’erano una decina di cavalli, tutti hanno deciso di fare il giro largo saltandole ma, dopo essere arrivata dall'altra parte del mondo, non potevo esimermi e l’ho attraversata tutta di un fiato!!
Che dire, da una parte sono stata felicissima della mia esperienza, dall'altra torno a casa con un po' di amaro in bocca perché ancora una volta due cavalli sono deceduti durante la gara cadendo nel burrone. Ho pianto, soprattutto quando ho incrociato un altro cavallo accasciato a terra in difficoltà. Ho riflettuto a lungo e mi sono chiesta, così come feci all'inizio della mia giovane carriera da endurista, il perché costringere questi animali a fare 160 km, perché spremerli così.
In realtà con l'esperienza, mi sono resa conto che solo una cosa conta nell'endurance, l'adeguato allenamento, è fondamentale. Nulla deve e può essere lasciato al caso, come per uno dei cavalli morti a causa di un errore di posizionamento della sella che è andata indietro facendolo impennare e poi il resto potete immaginarlo da soli.
Dietro questo sport come tanti altri, c'è da fare una riflessione sulla preparazione atletica e mentale del cavaliere perché questa è una gara che se scendi da cavallo, cammini o corri vicino a lui, sicuramente lo aiuti parecchio. Mi sto rendendo conto che dietro una 160 km. anche quelle che si corrono da noi, deve esserci una grandissima preparazione.
Il benessere del cavallo deve essere sempre al centro del nostro lavoro e dei nostri pensieri, soprattutto per noi che li amiamo spasmodicamente.
Detto questo non credo che lo sforzo che gli richiediamo, toccato con mano, vada aldilà delle loro potenzialità laddove adeguatamente preparati. Lo dimostrano i Reynolds (mi hanno messo a disposizione il super cavallo) che con la sola Heather hanno firmato la loro decima Tevis Cup, senza contare quelle di Jeremy.
Ho visto cavalli finire la Tevis per la quinta, sesta o settima volta, segno che conferma quando pocanzi detto, preparazione.
Per la cronaca i cavalli che riescono a finire almeno 5 volte la prova ricevono un premio speciale.
Insomma si può fare...con cognizione e rispetto ma si può fare.
Grazie a tutti per avermi seguita e supportata da remoto..."
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